Di sicuro ho indugiato troppo nell’autobiografismo, ma come parlarne senza cadere nell’autobiografismo. Ora non posso dire ci sia stata un’apparizione o rivelazione, semplicemente ogni cosa prende il suo tempo, alcune un sacco di tempo. Dieci anni per una cosa, sette per un’altra, anni della stessa vita che sommati fanno già cinquanta. Eppure non ho contratto un mutuo. Se hai acceso un mutuo, si dice così, accendere, come si fa per un fuoco, sei per forza di cose proiettato all’estinzione. Si dice proprio estinzione, come fine dei giorni o spegnimento della fiamma. Un mutuo, che è la cosa più comune per molti, finisce sempre per scottare e spingerti in avanti.
Ma gli immobili non sono l’argomento. L’immobilità è stata la più istruttiva delle condizioni nella mia vita. L’ho sofferta per poco e l’ho vista praticata negli altri. Fa una grande impressione l’immobilità, ciò che maggiormente temo. Siamo sempre nell’immobilismo, nel senso dell’autobiografismo. Tutto è biografico nell’immobilità.
La sindrome dell’immobilità o dell’isterico ondeggiamento.
Ma ci sono periodi che procurano febbre. Questo è un periodo che produce febbre in questo paese che si muove per ventenni e talvolta se ne prende anche un paio. Il ventennio fascista, i due ventenni democristiani, il quasi ventennio berlusconiano. Questo apre a due possibilità: o siamo vicini alla conclusione, all’estinzione, proprio come il mutuo, un mutuo di venti anni, o ci aspettano dopo questo ventennio berlusconiano un ventennio di decongestione dal ventennio berlusconiano?
Che nessuno dica che era meglio prima. Ho vissuto un bel pezzo della mia vita nell’era democristiana e non mi sembra che la febbre fosse bassa. La sindrome dell’otto settembre ha toccato questo paese. Una malattia cronica da cui è impossibile uscire, e non sono sicuro che non ce ne fosse prima un’altra con un nome diverso, come quando una volta si chiamava demenza senile l’Alzheimer.
mercoledì 27 maggio 2009
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