Aveva mostrato il tesserino di riconoscimento e superato il primo ingresso e subito aveva attraversato le pesanti porte blindate dopo che la tessera magnetica era stata letta dallo scanner per l’identificazione. “Non troppo diversamente da quello di un supermercato”, aveva riflettuto, ma la malsana associazione era durata un battito. La sua fiducia nella tecnologia stava vacillando? Un attimo quell’idea gli era venuta in mente, sufficiente per fargli cambiare umore. In fondo era inevitabile che le applicazioni più banali della tecnologia finissero nei supermercati. L’ascensore lo aveva posato al quinto piano, anche lì c’era una porta da attraversare dopo aver digitato un codice. Camminava sul velluto, era il lungo tappeto che copriva tutto il corridoio. Belle porte di legno chiaro sulla destra e sulla sinistra, un ambiente che sembrava anche esageratamente scandinavo. Bussare a quella porta gli aveva sempre procurato emozioni forti, fino al giorno in cui si era sentito sbattuto con una promozione in periferia. Dovevano aver applicato la logica della produttività e del profitto a un ufficio che, semmai, come auspicabile virtù da incentivare avrebbe dovuto avere la ponderazione, la discrezione, la misura. Mentre le nocche delle dita picchiettavano su quell’uscio senza scritte dorate o targhette o campanello e il legno massello risuonava sordo, sentiva un fuoco dentro infiammarlo. Era passato meno del tempo necessario perché qualcuno fosse già lì per aprire e anche meno del tempo che gli ci sarebbe voluto per abbassare la mano, che la porta era già stata aperta davanti a lui. A spalancarla era stato lo stesso uomo che gli aveva spinto il pulsante d’apertura nella metro, lo stesso, con il colorito paonazzo, che ora gli sembrava ancora più vibrante nelle variazioni che dall’olivastro pallore del naso fino alle guance finivano a maculare di rosso le gote.
Mi stava stampato di fronte. Fece un cenno di saluto e io, con un semi-sorriso e un piccolo cenno della testa, risposi cortesemente; poi, scivolandogli di lato, mi infilai nella stanza. La porta si era chiusa dietro di me, e davanti, seduto, il grande capo mi guardava; ma guardandomi come se non mi guardasse, da rendermi invisibile, come assente. Ero lì, mi vedeva, ma non c’ero. Era la sua tecnica, inimitabile. Questa volta mi parlò immediatamente, senza preamboli, rapidamente. La questione doveva scottargli. Dovette rimanere sorpreso, e io per primo, per il vero, perché, con tutta la mia volontà, non riuscivo a comprendere quello che diceva. Ascoltavo a tratti. Dovevo avere in quel frangente un’espressione simile alla sua, un capolavoro che non mi era mai riuscito. E’ che pensavo unicamente all’uomo che dalla mattina non faceva altro che aprirmi porte. A quell’uomo che mai avrei immaginato di incontrare in quel palazzo, e a quel piano poi, e in quella stanza addirittura! Mi girava tutto intorno e finii per sedermi senza che fossi stato invitato a farlo. Non era mia abitudine, cosicchè il mio potente superiore, ad un certo punto, mi chiese: “...evich, ma si sente bene?” Solo a quel punto era scoppiata la bolla di sapone in cui mi ero ficcato, solo in quel momento le orecchie mi si erano stappate, una sensazione simile allo scendere da una montagna troppo rapidamente o al riemergere da una immersione profonda. “Sto bene, grazie, è stato un attimo”.
“Allora ha capito quanto le ho detto? E’ una questione delicata. Il Presidente ed il Ministro sono stati informati, tocca a lei, ora, fare il primo passo, ha tutti gli strumenti. Come si trova nella sua nuova città?”
“E’ molto tranquilla, finirò per ingrassare”.
“Non penso, dopo quanto le ho detto”.
“Certo, mi terrò in contatto”.
“Aspetto un’informativa entro dieci giorni, mi raccomando, è una questione piuttosto delicata”.
Stavo per andar via, e quello che mi premeva era non tanto il non aver capito nulla di quello che mi aveva detto, cosa gravissima per altro; né mi premeva l’attenzione del presidente e del ministro alla questione. Volevo sapere solo chi potesse essere quell’uomo che avevo incontrato due volte in una sola mattinata su una soglia che dovevo attraversare. Quell’uomo dalla pelle malata mi fece venir voglia di passare a trovare il mio caro professore.
5 continua
Mi stava stampato di fronte. Fece un cenno di saluto e io, con un semi-sorriso e un piccolo cenno della testa, risposi cortesemente; poi, scivolandogli di lato, mi infilai nella stanza. La porta si era chiusa dietro di me, e davanti, seduto, il grande capo mi guardava; ma guardandomi come se non mi guardasse, da rendermi invisibile, come assente. Ero lì, mi vedeva, ma non c’ero. Era la sua tecnica, inimitabile. Questa volta mi parlò immediatamente, senza preamboli, rapidamente. La questione doveva scottargli. Dovette rimanere sorpreso, e io per primo, per il vero, perché, con tutta la mia volontà, non riuscivo a comprendere quello che diceva. Ascoltavo a tratti. Dovevo avere in quel frangente un’espressione simile alla sua, un capolavoro che non mi era mai riuscito. E’ che pensavo unicamente all’uomo che dalla mattina non faceva altro che aprirmi porte. A quell’uomo che mai avrei immaginato di incontrare in quel palazzo, e a quel piano poi, e in quella stanza addirittura! Mi girava tutto intorno e finii per sedermi senza che fossi stato invitato a farlo. Non era mia abitudine, cosicchè il mio potente superiore, ad un certo punto, mi chiese: “...evich, ma si sente bene?” Solo a quel punto era scoppiata la bolla di sapone in cui mi ero ficcato, solo in quel momento le orecchie mi si erano stappate, una sensazione simile allo scendere da una montagna troppo rapidamente o al riemergere da una immersione profonda. “Sto bene, grazie, è stato un attimo”.
“Allora ha capito quanto le ho detto? E’ una questione delicata. Il Presidente ed il Ministro sono stati informati, tocca a lei, ora, fare il primo passo, ha tutti gli strumenti. Come si trova nella sua nuova città?”
“E’ molto tranquilla, finirò per ingrassare”.
“Non penso, dopo quanto le ho detto”.
“Certo, mi terrò in contatto”.
“Aspetto un’informativa entro dieci giorni, mi raccomando, è una questione piuttosto delicata”.
Stavo per andar via, e quello che mi premeva era non tanto il non aver capito nulla di quello che mi aveva detto, cosa gravissima per altro; né mi premeva l’attenzione del presidente e del ministro alla questione. Volevo sapere solo chi potesse essere quell’uomo che avevo incontrato due volte in una sola mattinata su una soglia che dovevo attraversare. Quell’uomo dalla pelle malata mi fece venir voglia di passare a trovare il mio caro professore.
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