Era la prima volta che mi capitava di vederlo in bella mostra, a caratteri cubitali e aggraziati. Scritto pubblicamente, in mezzo ad una piazza. Guardai l’insegna fino all’ora del crepuscolo, fino a quando, con quattro lampi improvvisi, i neon tubolari si accesero, colorando di un bel giallo il mio nome. Non si illuminò tutto insieme, la ”ich” sfarfallò per qualche secondo. Quella insegna mi faceva sentire meno solo, era come avere un pezzo di famiglia, un parente a cui fare visita.
Erano stati giorni di calma, settimane tranquille, tanto che si era dimenticato di richiamare il professore. Aveva seguito la cura, preciso, alla lettera: la polvere, le fiale, i fermenti lattici, il sapone liquido solo ogni due o tre giorni. Aveva temuto nei giorni peggiori che l’infiammazione giungesse alla pelle delicata dello scroto o all’inguine, come a quel suo caro amico che stava sempre a farsi impacchi. E’ lì che preme l’elastico degli slip e mai avrebbe potuto indossare delle mutande boxer che non hanno l’elastico, che non raccolgono in un unico pacco sesso e scroto, che danno la sensazione che tutto resti penzoloni, libero di dondolare a destra o a sinistra, quando era sempre a sinistra che lui se lo fermava nelle mutande. Fortunatamente il rossore era regredito e anche il buonumore gli era ritornato. Si era dimenticato della tabaccheria con il suo cognome, aveva bisogno di una carta telefonica, c’era entrato come in una delle tante, e solo lì dentro se ne era ricordato. Una ragazza gli chiese gentilmente di che cosa avesse bisogno. A lui sembrò un tempo lunghissimo quello della sua risposta, ma non più del tempo che prende una semplice distrazione. “Un tipo sovrappensiero”, poteva aver pensato la ragazza. Ma l’herpes di lei lo aveva confuso e attirato a tal punto da non riuscire a rispondere immediatamente. L’herpes, uno sfogo visibile: che dermatite! Tutto il contrario della mia, reclusa fra il sudore, l’umido e il buio delle natiche. L’herpes di lei, fresco, sfogato, che dal labbro saliva fin sopra alla narice, era bellissimo. L’aveva guardato prima dei suoi occhi, azzurrissimi, prima del suo delicato naso, prima della pelle candida del suo viso, e avrebbe fatto decisamente a cambio con la sua dermatite. L’herpes di lei per il suo eczema! Perché quell’herpes sembrava come gli sembrava lei, aperta, come a dire: “Non posso farci niente, questo non lo posso nascondere, è una parte di me che quasi sempre riposa, ma che quando esce, deve mostrarsi”. Il mio eczema muto, invece, era lo specchio della mia introversione e per la prima volta realizzavo di essere un Mr. Hide. Quel rossore fra le natiche era anch’esso nel posto più nascosto di me. Mr. Hide, “to hide”, nascondere, e quel gioviale herpes, l’espressione del virus a cui lei aveva offerto ospitalità. Dopo aver pagato la tessera, le dissi:
“Anche io mi chiamo ...evich, sa? Abbiamo lo stesso cognome, forse lei viene da...?
“No, in questo paese ce ne sono solo due di famiglie con questo cognome, veniamo tutti e due da...”.
“Come le sa tutte queste cose?”
“Me le ha raccontate per una vita mio nonno, era fisso a raccontarmi tutto quello che sapeva su questo cognome”.
“Piacerebbe anche a me saperne qualcosa di più...Posso chiederle il suo nome?”
“Daria, mi chiamo Daria”.
“Io Mario”.
Le allungai la mano da sopra il bancone, lei esitava, pensai che non avesse capito il mio gesto, il mio desidero di un saluto più personale. In fondo non era tenuta a stringermi la mano, stringere la mano ad un cliente visto per la prima volta.
Ora che cominciava ad essere un poco più fresco, mi avevano richiamato a Roma. A Termini mi infilai nella metro, la linea che va all’Eur. Era molto tempo che non passavo per la capitale, forse due anni. Mi pareva molto cambiata già nel tubo della metropolitana. I colori della città sotterranea mi sembravano più brillanti, ne avevo un ricordo grigiastro, uniforme. Entrato nel vagone incontrai “una psoriasi”. Un signore sui cinquant’anni, un bell’uomo, ma con quella variopinta sfumatura che dal bianco passa al rosso e dalle narici arriva fino alle guance. Più o meno così, quelli con la psoriasi. Che strana malattia!
Pensando a quella dermatosi mi tornò in mente l’herpes della tabaccaia, poi il mio prurito, ormai assente da parecchio.
3 continua
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