Evidentemente, senza abbassare la guardia, stavo vincendo la partita, tanto da mettermi a valutare le affezioni degli altri. Beh! non avrei fatto a cambio con una psoriasi, se non altro perché tutti quelli che ce l’hanno, mostrano un’aria di persona contrita, di qualcuno fra due fuochi, di quelli che non sanno scegliere da che parte stare. Il vagone si era riempito, erano saliti una ventina di chiassosi quattordicenni, ma erano scesi a Piramide. A quella fermata si esce dalla galleria. Fuori dal tunnel la luce del giorno sembrava più luminosa di quanto mi era apparsa al mio arrivo alla stazione Termini. Salito in metro, avevo scelto l’angolo a destra del vagone e ora ero per metà schiacciato e l’altra metà appoggiato. Si era aperto finalmente un po’ di spazio, quando il treno era ripartito da Piramide, ed erano saliti due musicisti rom, ben messi. Per due fermate avevano suonato senza interruzione, facendo uno spettacolino decoroso. Al momento della questua con il bicchiere Mac Donald avevano tirato su parecchi soldi. Erano stati premiati per la professionalità, il distacco e la pulizia. Dopo San Paolo la carrozza viaggiava semivuota ma continuavo a starmene pigramente schiacciato in quell’angolo come fossi ancora costretto in quella posizione. Era stato allora, che una donna, con in grembo un fagotto che poteva contenere forse un neonato, dopo aver detto a tutti in un pessimo italiano: ”Mi chiamo ...evich, sono di Pristina, chiedo signori mi aiutare”, aveva incominciato a cantare una bellissima canzone nella sua lingua.
Aveva una bella voce dolcissima, calda, appassionata. Cantava ad occhi chiusi e volgeva il volto verso l’alto. Cercai dei soldi in tasca, ma quello che avevo mi sembrava poco, avrei voluto darle di più, forse una banconota. Avevo già messo mano al portafoglio, ma, attimo dopo attimo, quel canto mi era diventato insopportabile e non solo a me. La gente cominciava a scostarsi, era diventato impossibile ascoltare quella voce, quella melodia avvolgente, così intima e dolente. Restai con la banconota stretta in mano nel mio angolo. Per fortuna scese con i pochi spiccioli raccolti.
Dopo avere ascoltato quel canto dolce e struggente si era sentito lui stesso un bamboccio infagottato, come quello che la donna portava. La prossima fermata, sarebbe stata la sua, Eur Fermi.
Si aprirono tutte le porte ma non la sua, pensava ad un difetto dello scorrevole e si agitò un poco, temendo di non riuscire a scendere in tempo, ma ecco che il signore con la psoriasi, che non aveva più visto per tutto il viaggio, vedendolo in difficoltà, spinse il pulsante per lui. Si guardarono, l’uomo sorrise, ma lui non riuscì a fare un cenno di ringraziamento. Velocemente balzò fuori, da lì fece un gesto di saluto ma le porte già si erano chiuse sullo sguardo ormai lontano dell’uomo. La mano gli era rimasta sospesa in quel gesto. Si era così ricordato della sua mano sospesa a mezz’aria sul bancone della tabaccheria e dell’imbarazzo che aveva provato. Cosa gli stava succedendo, perché così repentinamente si facevano largo pensieri che mai avrebbero occupato uno spazio nella sua vita e che lo allontanavano dal suo impegno? Nel lavoro era stato scelto per il suo distacco, per la lucidità e la freddezza con cui si assumeva responsabilità e prendeva decisioni, ma ora la sua mente era occupata da pensieri inutili, secondari. Doveva essere stato quell’eczema, quella pruriginosa sofferenza a indebolirlo. Ora che tutto stava passando, la misantropia che lo contraddistingueva non trovava più sfogo e poteva riprendere possesso della sua sicurezza.
Non poteva essere certo un suo collega l’uomo con la psoriasi. Quel volto paonazzo non avrebbe saputo celare insicurezze e incertezze. Il non sapere bene cosa, da che parte stare, uno come quello sembrava avercelo stampato in faccia. Aveva salito gli scalini che lo portavano all’aperto a grandi balzi, a tre a tre, qualcosa fra il furioso e il vigoroso, come a voler ritrovare la certezza, la mancanza di ogni dubbio che aveva sempre contraddistinto la sua vita.
Quella città gli piaceva, era animata, confusa e affollata e allo stesso tempo in tanti angoli appartata e molla: seduta.
4 continua
Aveva una bella voce dolcissima, calda, appassionata. Cantava ad occhi chiusi e volgeva il volto verso l’alto. Cercai dei soldi in tasca, ma quello che avevo mi sembrava poco, avrei voluto darle di più, forse una banconota. Avevo già messo mano al portafoglio, ma, attimo dopo attimo, quel canto mi era diventato insopportabile e non solo a me. La gente cominciava a scostarsi, era diventato impossibile ascoltare quella voce, quella melodia avvolgente, così intima e dolente. Restai con la banconota stretta in mano nel mio angolo. Per fortuna scese con i pochi spiccioli raccolti.
Dopo avere ascoltato quel canto dolce e struggente si era sentito lui stesso un bamboccio infagottato, come quello che la donna portava. La prossima fermata, sarebbe stata la sua, Eur Fermi.
Si aprirono tutte le porte ma non la sua, pensava ad un difetto dello scorrevole e si agitò un poco, temendo di non riuscire a scendere in tempo, ma ecco che il signore con la psoriasi, che non aveva più visto per tutto il viaggio, vedendolo in difficoltà, spinse il pulsante per lui. Si guardarono, l’uomo sorrise, ma lui non riuscì a fare un cenno di ringraziamento. Velocemente balzò fuori, da lì fece un gesto di saluto ma le porte già si erano chiuse sullo sguardo ormai lontano dell’uomo. La mano gli era rimasta sospesa in quel gesto. Si era così ricordato della sua mano sospesa a mezz’aria sul bancone della tabaccheria e dell’imbarazzo che aveva provato. Cosa gli stava succedendo, perché così repentinamente si facevano largo pensieri che mai avrebbero occupato uno spazio nella sua vita e che lo allontanavano dal suo impegno? Nel lavoro era stato scelto per il suo distacco, per la lucidità e la freddezza con cui si assumeva responsabilità e prendeva decisioni, ma ora la sua mente era occupata da pensieri inutili, secondari. Doveva essere stato quell’eczema, quella pruriginosa sofferenza a indebolirlo. Ora che tutto stava passando, la misantropia che lo contraddistingueva non trovava più sfogo e poteva riprendere possesso della sua sicurezza.
Non poteva essere certo un suo collega l’uomo con la psoriasi. Quel volto paonazzo non avrebbe saputo celare insicurezze e incertezze. Il non sapere bene cosa, da che parte stare, uno come quello sembrava avercelo stampato in faccia. Aveva salito gli scalini che lo portavano all’aperto a grandi balzi, a tre a tre, qualcosa fra il furioso e il vigoroso, come a voler ritrovare la certezza, la mancanza di ogni dubbio che aveva sempre contraddistinto la sua vita.
Quella città gli piaceva, era animata, confusa e affollata e allo stesso tempo in tanti angoli appartata e molla: seduta.
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